Nel Regno del Viaggio della Vita incontriamo tantissime persone.
Fa parte del nostro essere-nel-mondo. Prima incontriamo l’Altro e, poi, incontriamo noi stessi, come la vita medesima testimonia al suo esordio: la madre è il primo sguardo che ci riconosce e noi viviamo attraverso lei e le sue cure… Cresciamo e, a un certo punto, scopriamo di esistere a prescindere dall’Altro, prendendo consapevolezza di noi stessi, come ci rammenta la Filosofia della Psicologia Transpersonale con la celeberrima “fase dello specchio”: ci guardiamo e scopriamo che il corpo davanti a noi ci appartiene e che siamo quello stesso corpo. Tuttavia, constatare ciò non basta, perché il corpo – che è il ponte tra interno ed esterno – ci pone al cospetto di qualcun altro, inevitabilmente.
Nella vita, dunque, incontriamo tante persone, ma spesso – tirando le fila delle proprie relazioni – ci accorgiamo che non tutti questi incontri sono “appropriati”, nel senso che Spinoza dava a questa espressione. Difatti la gran parte delle nostre relazioni è causata da circostanze che esulano dal nostro volere: i genitori ce li ritroviamo, i compagni del quotidiano scolastico idem, così come i parenti, i colleghi di lavoro, i co-gettati nella casa di riposo in cui magari andremo a finire i nostri giorni. Tutti volti non scelti liberamente, ma ritrovati per circostanze fortuite: compagni di vita. Eppure già sappiamo che, tra quelli, qualcuno spiccherà ai nostri occhi e ci accompagnerà nel tempo, divenendo compagno di esistenza. Nella vita, dunque, incontriamo senza riconoscere o essere riconosciuti, seguendo il Man heideggeriano, assecondando la deiezione del presente foriera di Inautenticità; mentre nell’Esistenza, abbracciamo il futuro assumendo il nostro Essere-per-la-morte e quindi facciamo il salto verso l’Autenticità che ci mette al cospetto di ciò che vogliamo davvero, scegliendo quindi da chi essere accompagnati in questo viaggio. Possiamo (e dobbiamo, forse) scegliere chi coltivare, di chi prenderci Cura, da chi farci tenere la mano nel cammino esistenziale.
Perché, se non scegliamo accuratamente, cadiamo in balìa di quelle passioni tristi di cui parlava proprio il Filosofo Baruch Spinoza. Queste non sono altro che dei limiti del nostro conatus (Potenza del Desiderio), ossia della nostra energia vitale che ci porta a fiorire, a tendere sempre più verso noi stessi. Le passioni tristi – quali l’odio, l’ira, l’invidia e la paura ad esempio – frenano questo slancio verso la propria realizzazione autentica e sono catalizzati spesso da incontri “inopportuni”, ossia da quelle persone che non ci riconoscono, che ci fanno sentire mistificati, o da quelle situazioni che appaiono come inaggirabili, castranti e fonte di dolore. Il contesto sociale in cui viviamo oggi crea spesso occasione di incontro: chat, social di varia natura offrono la possibilità di incontrare l’altro velocemente, senza difficoltà, ovviando alla presenza fisica. Ma quanti di questi incontri sono “opportuni” nel senso spinoziano? Ben pochi. Non vogliamo asserire che sia sempre così, che sia impossibile incontrare “opportunamente” in rete, perché anzi può capitare, soprattutto se ci si affida a piattaforme in cui vengono condivisi interessi, passioni, lavori simili, etc.; ma è pur sempre raro. Generalmente l’entrare in relazione offerto da internet è foriero di passioni tristi, poiché sempre pregiudicato dalla mancanza di uno scambio in presenza, di un reciproco manifestarsi all’altro e di un dialogo schietto. La tendenza è quella a creare dei legami fittizi, alla ricerca di consenso, di like, o di apprezzamenti per il proprio apparire (pensiamo ai selfie, ad esempio: auto-scatti, consegnati ad un mondo etereo, impalpabile). Le passioni gioiose, invece, emergono quando davvero puoi incontrare l’Altro, in tutta la sua complessità e interezza, garantendo dunque un valido rimedio per contrastare le passioni tristi che, inevitabilmente, emergono dalla vita stessa. L’amicizia autentica, quella fondata sulla scelta dell’altro, garantisce proprio un incremento del tono vitale, diceva Spinoza, per questo va ricercata e nutrita una volta reperita. Ci si coltiva reciprocamente, a testimonianza di quanto sia fondamentale per l’essere umano avere qualcuno accanto, di come non si possa essere delle monadi bastanti a se stesse. E passioni gioiose per eccellenza sono, per il pensatore, l’Amore – che ci fa provare un senso di espansione a noi stessi, aiuta a vivere più pienamente, rendendo il mondo più significativo e facendoci percepire vitali, capaci di agire – e la Gioia, quel sentimento di pienezza, di strabordanza di sé, che ci apre ulteriormente alla vita e ci fa vivere intensamente. Siamo sempre, a detta di Spinoza, al cospetto della scelta circa le passioni da coltivare, in quanto possiamo sempre decidere se sostare in quelle tristi o perseguire quelle felici. Per realizzare queste, ecco l’importanza degli incontri adeguati, che aiutano a strutturare la nostra esistenza in maniera conforme al nostro slancio vitale, a quel conatus che collima col progetto esistenziale che ognuno di noi può realizzare autenticamente. Gli incontri opportuni, sostiene Spinoza, aumentano la capacità di agire, mentre quelli inopportuni ottundono il conatus stesso, rendendoci opachi, spenti, abbandonati alla agiatezza del vivere, passivi. Ne consegue che, mediante l’esercizio della ragione – che dota l’uomo della possibilità di scelta – le passioni possono trasformarsi in affetti, dice Spinoza, rendendoci liberi e in grado di partecipare attivamente alla vita. Gli affetti ci aiutano a definire i nostri confini, a conoscerci meglio, a trovare testimoni di Esistenza. Le passioni tristi sono disgreganti, mentre quelle gioiose uniscono, fondandosi su un sostrato di comune riconoscimento e di aiuto reciproco nel far Fiorire l’altro. Quindi, per diventare ciò che siamo, coltiviamo gli incontri opportuni, cercando compagni di Esistenza e del meraviglioso Viaggio della Vita e non meri accompagnatori.